Opinione di Mediolanum

Basiglio, 21 gennaio 2016

L’opinione di Mediolanum

Sono tempi interessanti

“Per le borse mondiali è il peggiore inizio dal 1932.”

Questa è stata la formula usata dai mass media per descrivere la prima giornata di contrattazioni del 2016. Certo un meno 3% col suo colore rosso diffuso in tutto il pianeta in effetti non è per nulla un buon inizio, ma siamo proprio certi che non sia stato il solito sensazionalismo mediatico?

Il 1932 è iniziato veramente molto male ed è anche continuato peggio, il Dow Jones – il principale e più anziano degli indici di Wall Street – da un livello iniziale di circa 70 punti atterrò nel Luglio dello stesso anno a 41, un ribasso di circa il 40%, molto, molto più ampio di quanto stiamo vedendo in questi giorni.

Ma prima di proseguire facciamo un breve excursus storico.

Il 1932 è stato uno degli anni peggiori della “Grande Depressione”, a posteriori può essere definito come “il fondo”, l’indice Dow Jones veniva dai massimi di 381 toccati nel 1929 e scendeva ininterrottamente, la gente era in preda a sentimenti quali confusione e prostrazione che facilmente fanno operare scelte sbagliate.
Molti in quei giorni d’Estate, nel panico, hanno sicuramente commesso l’errore peggiore: vendere in perdita. Un errore fatale, perché solo un anno dopo, nel 1933 l’indice Dow Jones era tornato a 100 punti. In un anno ci fu una salita del 66%. Nel 1934 rimase in laterale, ma nel 1935 fece addirittura un +40%, arrivando all’inizio del 1937 a quota 200 punti.
Pensate, rispetto al minimo di 5 anni prima, la borsa si era quasi quintuplicata. Pensate che grande regalo hanno fatto coloro che hanno venduto a quanti hanno avuto invece il buonsenso di acquistare le azioni di quelle società che venivano svendute solo per troppa emotività.

Gli anni Trenta sono un caso eccezionale nella storia; uno dei decenni più difficili per l’economia e la finanza, bastano i numeri a definirlo: l’indice Dow Jones, per rivedere quota 381 – il massimo della bolla del 1929 – tra alti e bassi con anche oscillazioni vistose, impiegò ben 26 anni. Ci arrivò nel 1955. Negli ultimi anni, i paragoni con il 1929 si sono più volte sprecati, in certi casi a ragione in altri forse a sproposito, anche in questo caso sono i mercati a dircelo: nel 2007 l’indice Dow Jones segnò un massimo di 14.000, a questo seguì una profonda discesa fino a circa 6.000, ma la differenza è tutta nella capacità di recupero, rispetto alla crisi di 80 anni fa, oggi per rivedere quelle vette ci sono voluti meno di 6 anni, e 8 anni dopo l’indice, rispetto a quei massimi è già sopra del 30% e del 200% considerando i minimi a cui era arrivato. Presto guardandoci indietro ci renderemo conto di quanto questo momento economico e finanziario è stato ricco e abbondante di opportunità.


Mercati

Azionario

Gennaio 2015 crisi geopolitica e attentati terroristici, Gennaio 2016 crisi del petrolio e della Cina. Cambiano i fattori e i protagonisti, ma i risultati sembrano gli stessi: sui mercati sono anni complicati, ma nonostante tutto, si guadagna. Oggi, dopo un piccolo e breve assaggio nella scorsa Estate, è di nuovo la Cina a far paura. E’ un pericolo reale? L’indice di Shanghai è sceso dai massimi di 5.000 di Giugno fino agli attuali 3.000 punti circa, poco meno di un dimezzamento, la motivazione usata dalla collettività è la decelerazione dell’economia, da un 10% a cui eravamo abituati, siamo passati a un 6/7%. Se però facciamo un breve viaggio nella storia, possiamo notare che tra gli anni 2009 e 2014, quando ancora il dragone era nel suo pieno potenziale e quando anche tutto il mondo era in pieno recupero economico, grazie anche alle politiche accomodanti delle Banche Centrali, lo stesso indice è rimasto ingabbiato in un lungo laterale tra quota 2.000 e 3.000. Se l’economia corre, dovrebbe fare altrettanto la borsa, questo ci hanno sempre insegnato. Da questo esempio si capiscono essenzialmente due cose: la borsa di Shanghai è ininfluente rispetto all’economia cinese, perché ancora troppo piccola e perché ancora poco regolamentata, e la seconda è che il mercato nell’ultimo anno è stato attraversato da una breve e intensa onda speculativa, una piccola bolla che ha travolto molti piccoli investitori cinesi, che si sa essere particolarmente attratti dalle scommesse, e in questo caso dai facili guadagni. Il caso ricorda molto quanto accaduto sul Nasdaq del 2000: imprese giovani e ancora acerbe, investitori ingolositi dalle novità sconosciute, i violenti ed inspiegabili rialzi erano un’irresistibile tentazione fino al grande crollo. Una caduta che però ha portato rinnovamento, progresso e nuova crescita. Molte piccole aziende non sono sopravvissute ma quelle che hanno saputo cogliere la via dello sviluppo sono oggi dei giganti, e il Nasdaq dopo una discesa verticale, come sempre accade si è ripreso rivedendo le alte vette. Le fasi di trasformazione e sviluppo conoscono sempre anni difficili ed è proprio in quei momenti che si deve saper cogliere l’occasione. Ricordate cosa si diceva della Cina solo qualche anno fa? Molti istituti internazionali prevedevano che intorno al 2020 sarebbe arrivato lo storico sorpasso del Dragone ai danni degli Usa, oggi per un piccolo inciampo, sembra tutto dimenticato. Ricordiamo che l’economia cinese ha prospettive di crescita potenziale intorno al 6%, la metà rispetto ai massimi conosciuti, ma su una base molto più ampia. C’è una grande differenza tra crescere del 10% su base 100 e crescere del 5% su base di 1000. Sono 20 anni che la Cina corre, una piccola frenata, in una fase di trasformazione, è più che fisiologica.
Ripensate all’Europa, solo qualche anno fa veniva dato quasi per certo il fallimento dell’Euro. Oggi, solo pochi anni dopo, la gran parte del mondo economico e finanziario, proprio sulla ripresa dell’Europa ripone speranza di crescita e di guadagno.

Obbligazionario

Nonostante l’opinione di molti economisti e investitori che prevedevano catastrofi nel mondo obbligazionario, nel 2015 non s’è registrato altro che un piccolo rialzo dei tassi da parte della Fed, annunciato con largo anticipo. Cosa potrà accadere ora? Lo scenario conta un petrolio che si avvita, salari sempre bassi, focolai cinesi, incertezze geopolitiche ed elezioni Usa in vista, difficile che la Fed faccia altre ardite mosse. Parliamo solo di Fed perché le altre banche sono solo a metà del percorso di stimoli monetari.

Valutario

Mentre gran parte del mondo economico e finanziario era concentrato sul cross principale, l’Euro/Dollaro, in attesa dello storico riaggancio della parità, è da Oriente, e specificatamente dallo Yuan cinese, che arrivano le sorprese e i grandi movimenti. Nuove svalutazioni che spaventano i mercati di tutto il mondo. Movimenti che fanno sempre parte di quel grande processo di trasformazione che vede la Cina pronta a diventare da paese di produzione a grande consumatore. Per farlo ci vuole tempo, e per far trascorrere quel tempo senza gravi traumi si deve ancora far leva nelle esportazioni, queste possono essere le motivazioni delle ultime sorprese sui cambi. Ricordiamo però che nel primo decennio del nuovo secolo, la Cina ha agito rivalutando molto la sua moneta, passando da 8 Yuan per 1 Dollaro, fino a 6 circa. I recenti massimi a 6,75, se visti in un’ottica più ampia, fanno così meno paura. Ben diversa la situazione per altri Paesi Emergenti come Cina e Brasile, dove le rispettive valute nell’ultimo anno hanno perso oltre il 40%, con un petrolio ancora in sofferenza, per questi Paesi, il peggio non è ancora passato.

“Non c’è spina senza rosa”

Qualche anno fa, quando il petrolio viaggiava a livelli ben superiori agli attuali, tra i 70 e gli 80 dollari e poi anche oltre i 100$, le case d’affari e gli economisti continuavano a ripetere che il petrolio caro era un pericolo sia per l’economia sia per i mercati finanziari. Oggi che il petrolio si è più che dimezzato rispetto a quelle quote, e addirittura vale 1/5 rispetto ai massimi storici, ci viene ricordato quasi quotidianamente che il petrolio basso è un pericolo. Qualcosa sembra stonare. Come per ogni cosa ci sono rose e spine e la virtù starebbe nel mezzo, ma non è sempre detto. Le spine di un petrolio basso sono le mancate entrate per Paesi, oggi giganti, come l’Arabia che dal petrolio hanno quasi la loro unica fonte di reddito e di ricchezza che serve a mantenere l’attuale stato sociale, il rischio è che minori introiti costringano questi Paesi a minori consumi e investimenti verso Paesi occidentali. Le rose sono per i Paesi industrializzati, che sono i Paesi consumatori che dai bassi prezzi, e quindi minor costi, traggono una bassa inflazione strutturale, bassi tassi e possono così ottenere un
maggiore potere d’acquisto. Per anni i Paesi consumatori hanno sofferto e si sono adoperati per trovare soluzioni alternative nei momenti in cui il petrolio faceva le bizze, per anni i Paesi produttori hanno avuto la fortuna di vivere di rendita, ma si sa che la rendita non porta mai innovazione ma molta pigrizia. Oggi, dopo la naturale sofferenza dovuta al cambiamento, i Paesi produttori avranno la possibilità di esplorare nuove vie di sviluppo. La prima già si intravede: il gigante Aramco, il più grande produttore di petrolio al mondo e forse la società più grande al mondo, è pronta allo sbarco in borsa. Un’ipotesi fino a qualche anno fa impensabile, più trasparenza e opportunità per gli investitori. Senza dimenticare che un basso prezzo del petrolio spinge e spingerà sempre di più verso